Il Castello
Sinagra possiede un piccolo Castello, situato su un promontorio roccioso, che domina l’intera parte inferiore del paese. Fu abitato da varie famiglie tra cui i Branciforti, i Lancia, gli Afflitti, i Ventimiglia, gli Ioppolo. L’ultima abitatrice fu Marianna Ioppolo, sposa al duca di Misterbiano. L’edificio a distanza di secoli conserva ancora la torre con l’orologio, buona parte delle mura perimetrali, e parte di un cortile. Il complesso edilizio viene completato dalla chiesa di S. Antonio, con ogni probabilità di origine normanna, a navata unica la cui architettura è caratterizzata dagli spigoli esterni in pietra intagliata. Attualmente i cortili e la rotonda che circondano il castello rappresentano il luogo ideale per passeggiate romantiche, manifestazioni culturali, concerti musicali e serate danzanti
Quel Castello a difesa di una Comunità
La strada provinciale che da Ponte Naso porta a Ficarra, anticipa la vicinanza della meta con la visione della Torre dell’orologio: piccola, di tipo medievale, che si erge dai ruderi di un castello di cui sono rimaste soltanto le mura perimetrali. I pochi resti, visibili fuori terra, purtroppo non hanno consentito una ricostruzione dell’impianto originario e anche la data della sua costruzione non è precisabile. Quindi una incertezza complessiva, che, però, non ha impedito che il castello con la sua torre divenisse l’emblema della comunità di Sinagra. In altri termini, il fatto che dell’antico castrum si conoscesse ben poco, non ha impedito che intorno ad esso si sia lavorato per la conoscenza della storia del paese.
Sinagra (Senagra) è località che appare nelle fonti già a partire dall’undicesimo secolo, quando, unitamente ad altri territori nebrodei, entra nella riorganizzazione ecclesiastica operata dai Normanni. Poi diviene feudo sotto la signoria di importanti dinastie come quella dei Lancia e dei Ventimiglia, e poi della Famiglia Ioppolo, assolutamente topica (il cognome Ioppolo è ancora fortemente attestato), che ebbe a reggere la comunità dal 1654, anno in cui Girolamo Ioppolo ottenne il titolo di Duca, fino al 1812, allorché, sotto la signoria di donna Marianna Ioppolo e del marito Duca di Misterbianco furono aboliti i diritti feudali.
Il castello di Sinagra, sul promontorio a destra della fiumara, a difesa del territorio, è dunque per gli abitanti principalmente un insieme di memorie. Ciò spiega perché, nonostante il suo essere simbolo del potere e di un possesso della terra che ha imposto sacrifici e sofferenze, sia considerato il centro di una presa di contatto con la propria identità, a difesa del patrimonio culturale, contro il degrado del paesaggio e contro ogni altra colpevole indifferenza.
Prof.ssa Annamaria Amitrano
Ordinario di Etnostoria nell’Università degli studi di Palermo
Sinagra: Quel castello, guardiano dei Nebrodi...
Sinagra appare nella storia sin dal 1052, quando è ricordata in un privilegio del Conte Ruggero e, col nome di Sinagria, in una bolla del Papa Innocenzo III, che la enumera fra i Casali dipendenti dalla Chiesa di Messina.
La cittadina, meravigliosamente collocata a naturale spartiacque fra il comprensorio costiero del Tirreno e quello montano dei Nebrodi, s’identifica con il suo piccolo Castello, di cui fanno menzione alcuni storici antichi. Il Fazello, nel 1550, lo pone alla destra del torrente Naso (o Timeto di Tolomeo) e non lo chiama, né antico, né moderno.
L’edificio, che a distanza di secoli, conserva ancora la Torre con orologio, buona parte delle mura
Perimetrale e porzione di un cortile, fu abitato da varie famiglie, tra le quali: Branciforti, Lanza. Afflitti, Ventimiglia, Sandoval , Ioppolo.
Il recupero e la fruizione di questo bene, inserendolo a pieno titolo nel contesto turistico della cittadina di Sinagra, davvero la Perla dei Nebrodi, costituisce una scommessa e non solo per la Pro Loco che da anni, con la Presidente Enza Mola e i soci lavora in tal senso.
Il Castello, allora, come perno attorno al quale far ruotare le attività culturali del centro che necessariamente rispecchiano la storia, gli usi e i costumi di uno dei borghi più significativi del vasto comprensorio dei Nebrodi.
Michele Cucuzza
(Conduttore-Giornalista Rai)
La Chiesa Madre
Dedicata a San Michele Arcangelo, è di epoca ottocentesca.
L’edificio Sacro presenta una pianta a croce latina con navata unica incrociata dal transetto; in stile dorico le colonne. Più volte nei secoli la Chiesa ha subito rilevanti danni. Dalle cronache del tempo si ricava che nel 1840, per volontà dell’arciprete Don Antonio Ficarra, la chiesa fu completamente restaurata. Una lapide posta sulla porta maggiore, ricorda che nel 1870, per iniziativa di Don Vincenzo Ioppolo, la matrice fu ridipinta, decorata con stucchi e marmi e dotata di un maestoso organo a canne. Oggi la chiesa custodisce gelosamente un prezioso trittico in marmo di Giacomo Gagini, datato 1542, collocato dietro l’altare maggiore, raffigurante gli Apostoli nella parte inferiore, la Madonna della Catena, San Giovanni Evangelista e San Michele Arcangelo: al vertice la statua, di dimensioni contenute, ma molto espressiva, dell’eterno Padre, con il triangolo sul capo, il mappamondo nella mano sinistra e la destra benedicente. Da ammirare la statua marmorea della Madonna della Natività e la statua lignea di San Leone Vescovo, patrono di Sinagra
Rapito da tanta bellezza, passeggiando per il borgo...
Maria è il baricentro della storia della salvezza unicamente perché come figlia ha accettato senza riserve e nell’umiltà più radicale il ruolo di madre e di sposa.
Il suo si spontaneo e incondizionato scaturisce dalla sua anima innamorata di dio,una donna semplice destinata ad essere corredentrice del genere umano, una creatura che ha sentito il turbamento di essere chiamata a così alto compito senza conoscere uomo, ma lo spirito che già aleggiava nella sua anima le ha messo sulla bocca quella parolina che le ha dato il privilegio di interporsi come mediatrice tra dio e l’uomo.
Una mamma attenta chiusa nel silenzio per far crescere il seme della parola vivente,una mamma speciale sollecita ai problemi della terra come alle Nozze di Cana, una donna scelta da Dio fin dall’eternità per attuarne il disegno salvifico, una donna trafitta dal dolore ai piedi della Croce. Nel suo cuore ha raccolto l’angoscia dell’umani, che riassume il suo intimo rapporto con Dio.
Sposa, madre e figlia una sintesi meravigliosa che le consente di esplodere in quel magnificat, che riassume il suo intimo rapporto con Dio.
In ogni tempo ha ispirato l’arte di poeti pittori scultori e musicisti, che a lei hanno dedicato le migliori risorse del proprio intelletto, tanto da far dire a Dante che tanta bellezza niuno è degno di guardare. A Sinagra troviamo un fulgido esempio di come Maria ha ispirato artisti e luminari. La Chiesa Madre, dedicata a S. Michele Arcangelo presenta all’interno molti elementi decorativi e opere d’arte. Tra questi ultimi vi è il bellissimo trittico marmoreo opera di Giacomo Gagini del 1542, collocato sovrastante l’altare maggiore. Esso raffigura la Madonna della Catena, San Michele Arcangelo, San Giovanni e gli Apostoli. Al vertice domina la statua dell’Eterno Padre con il triangolo sul capo e la mano destra benedicente. Un capolavoro da ammirare con devozione e rispetto.
A Maria
Sei madre figlia e sposa
donna del silenzio e del dolore
prescelta da Dio fin dall’eterno
per dare al Figlio una dimora
pura santa e immacolata.
Il tuo “si” all’angelo nunziante
non privo all’inizio di stupore
ha posto il primo seme dell’amore
tra Dio e le sue creature,
offrendo il tuo seno verginale
hai riunito il cielo con la terra
decantata dagli artisti di ogni tempo.
Prof. Santo Bonaventura
Chiesa del Convento
Più antica è la Chiesa del Crocifisso, denominata Chiesa del Convento, con l’annessa torre campanaria di età medievale; è un raro esempio di tempio a due navate con colonne in pietra lavorata, che risale al periodo fra la fine del 1400 e l’inizio del 1500. All’interno si trova una statua in marmo di Santa Caterina di scuola gaginesca e un Crocifisso ligneo forse del 1400, custodito in un artistico armadio a cassettone, decorato con bellissimi dipinti raffiguranti scene della Passione di Gesù. Altri due dipinti, San Giovanni e l’Addolorata, si rilevano aprendo le ante dell’armadio. Sul baldacchino sovrapposto è dipinto il Padreterno e sei angeli. Interessante è anche una tavola del 1600 raffigurante la Madonna e le anime del Purgatorio.
La Chiesa dell' Addolorata
La Chiesa dell’Addolorata è una piccola struttura ad un unica navata della seconda metà del XIX secolo. Ha raccolto le suppellettili della Chiesa Madre, a causa delle alluvioni del 1827 e del 1837, che potrebbero aver risparmiato la zona bassa del paese in cui è ubicata la Chiesa dell’Addolorata di cui si tratta.
Chiesa S. Antonio
Di origine normanna, a navata unica la cui architettura è caratterizzata dagli spigoli esterni in pietra intagliata.
La Chiesa di Santa Maria
E’ un antico rudere sito in c/da Mezzagosto che sembra appartenere, dagli elementi ancora leggibili, al periodo paleocristiano. Al suo interno è possibile apprezzare un Sarcofago in arenaria, unica ed importante testimonianza dell’arte e della cultura bizantina. Il manufatto presenta pianta regolare e coperchio a spiovente. Sul fronte è intagliata una sequenza di cerchi con all’interno i simboli dei quattro evangelisti ed al centro l’Agnello Mistico. I cinque medaglioni sono collegati ad intreccio con orticoli ornati da una rosetta stilizzata. Secondo la tradizione si soleva riesumare, a scopo propiziatorio, le spoglie conservate nel sarcofago collocato a terra per favorire la pioggia nei periodi di siccità.
SUL SARCOFAGO DI C.DA MEZZ’AGOSTO I SEGNI DEL CRISTO
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Immerso in una lussureggiante foresta di verdi noccioli, il rudere dell’antica chiesetta di Mezz’agosto appare semisommerso dal terreno, rivestito da muschi e selvatica vegetazione. Per individuarlo non basta risalire la china attraverso l’antica trazzera che si diparte da Martini, ma occorre fare affidamento a chi queste contrade conosce meglio, per naturale confidenza, passione o diletto. E’ in questo modo, ovvero con la simpatica compagnia di un anziano appassionato di storia e architettura medievale, che ebbi tanti anni fa il piacere di “scoprire” tale avanzo di un tempo passato e ritenuto avaro di testimonianze, ma che imprevedibilmente si manifesta attraverso una delle tante reliquie, come questa, forse solo celate da oblio e indifferenza.
Nelle strutture di questo edificio è da riconoscere la Chiesa di San Maria de Faraxii, appartenuta all’Abbazia di San Nicolò La Fico, costruita dal Granconte Ruggero nel 1091. E alla tradizione costruttiva di quel tempo corrisponde la tipologia dell’aula absidata e orientata lungo l’asse E – O, con muratura a secco ed elementi di taglio in arenaria per imposta.
Al suo interno, ed oggi liberato da terreno e crolli, si ammira uno dei più importanti reperti medievali del territorio, un magnifico sarcofago in pietra arenaria, certamente appartenuto ad un facoltoso ecclesiastico del XI o XII secolo, privo però di indicazioni epigrafiche forse anche per lo stato di abrasione del materiale litoide. Sull’avello monolitico (a cassa) si posa il coperchio a due spioventi; sulla faccia anteriore è la decorazione scultorea, in cui due spire intrecciate compongono cinque dischi maggiori e quattro minori.
All’interno compaiono, con essenziale e stilizzato rilievo, la figura dell’Agnello Mistico e i simboli dei quattro Evangelisti, alternati a carnosi fiori quadrilobati. Fedele ad una prassi decorativa durata dall’età paleocristiana all’alto medioevo, il sarcofago dichiara pertanto la sua vetustà ma anche l’appartenenza ad una cultura figurativa cui questo territorio non fu certamente estraneo.
Prof. Nuccio Lo Castro
Palazzo Joppolo
La struttura del palazzo, che risalta imponente rispetto all’edilizia circostante, è valorizzata da sobri motivi decorativi in pietra arenaria. Sul portale principale, su Via Roma è indicato l’anno 1900.
La Grotta del Beato Diego
Località : centro Storico
Foglio mappa catastale 16
Particella 434 Ubicata sotto il Castello la grotta sarebbe stata scavata dal Beato Diego terziario francescano e servo del convento dei carmelitani di cui si sconosce il nome secolare, secondo alcuni Fabrizio Di Blasi, secondo altri Diego Scalia. Sarebbe morto il 9 settembre 1612 dopo una vita di sofferenze (cattura ad opera di briganti, detenzione da innocente in galera).
Un fraticello beato chiamato Diego da Sinagra
Il profumo era quello dell’inverno e il vento che fuori gridava alla sera rimandava a storie di altre vite, a storie di altri tempi. Passando la mano fra i capelli di quel cucciolo d’uomo, si senti per un momento meno vecchio e meno stanco. Lo strinse al petto quel bimbo, che lo chiamava nonno anche se davvero non lo era. Un bimbo che profumava di mamma e di colonia e che vedeva poco, disgraziata malattia: riusciva a metterlo a fuoco solo da vicino e lo immaginava giocare nell’orto in quei pomeriggi, poco avari di silenzio.
“Nonno, raccontami di quel fraticello che dormiva nella pietra e giocava con i pesci al fiume…”
“Vedi piccolo mio, questa è una storia che parla anche di noi: di un nonno, un bimbo e di un fraticello. Tutti e tre che fanno di nome Diego”.
E seduti stretti stretti che il fuoco del camino riscalda di più, di un calore che ti entra nel cuore.
“Questo giovanetto scelse di chiamarsi Diego quando volle diventare frate ma già da bambino, aveva più o meno sei annuzzi come te, aveva fatto capire a tutti che era straordinario. Parlava con Gesù nel suo lettino e sotto le coperte, mentre tuoni e lampi fuori lo spaventavano, voleva sapere se gli facevano male i chiodi e le spine. Gli raccontava del suo papà in campagna e della sua mamma a impastare la farina che così viene il pane buono da conservare nella cassapanca, ma anche della gallinella della vicina che non si faceva mai acchiappare e dei pesci d’argento del torrente che rincorreva da riva nei pomeriggi di sole. Poi, Gesù lo ha voluto proprio con lui e Diego si è fatto frate ma voleva vivere come quei pesci e come gli uccelli del cielo, voleva vivere libero e senza casa, senza cose inutili. E allora trovò una grotta scavata nella pietra e si fece la sua casetta: un letto e un cuscino di pietra. Proprio qua a Sinagra, vicino al fiume. E tutti lo cercavano e tutti volevano parlare con lui e venivano mamme e nonne, e ragazzi e papà: volevano la sua benedizione e vedere come viveva il fraticello Diego, che di salute non stava tanto bene, ma soffriva in silenzio e senza lamentarsi mai”.
“Come a te nonno quando ti fanno male le gambe?”
“Tanto di più gioia mia. Poi una sera al tramonto venne un angelo e bussò al suo cuore”.
Gli domandò se fosse pronto per raggiungere Gesù.
Diego sorrise e si guardò la tunica: un po’ vecchiotta certo, forse qualche strappo, ma pulita. Si guardò le mani vuote: mani che però avevano accarezzato, dato conforto, benedetto, pregato. Diviso il pane con i poveri. Mani piene allora.
“Si – disse guardando l’angelo dritto negli occhi – sono pronto”.
“L’angelo lo prese per mano e volarono insieme nel blu di quel cielo… e la tunica consumata di Diego divenne bianca bianca come la luce…”
Quella sera li ho visti anch’io in un girotondo di pensieri e parole intorno, mano nella mano: quel vecchio, il mio bimbo e la veste svolazzante del fraticello con i pesci del torrente a fare festa.
Li ho guardati e in fondo al cuore è tornato il sereno.
Marcello Proietto di Silvestro
Strategic Facilitator
Di grande pregio storico-architettonico sono gli antichi palazzi di nobili origini, che si affacciano sull’intricato dedalo di vicoli del centro storico, testimonianza di un passato e di un ruolo certamente importanti di Sinagra.
Palazzo Salleo
Importante edificio di origine seicentesca, ha visto svolgersi continuamente la vita di una famiglia nobile siciliana, che ha dato proprietari agricoli, intellettuali, ecclesiastici, patrioti e artisti, e cioè della famiglia Salleo, al cui ramo principale questo palazzo è appartenuto sin dall’ origine. Il blocco dell’edificio, su tre piani, emerge dall’aggregato circostante, valorizzando l’intera area.
Palazzo Famiglia Andronaco ex Joppolo
Palazzo Comunale ex Famiglia Salleo in Via Umberto 1°
Località : centro storico, via Umberto I
Architettura: Il blocco dell’edificio, su tre piani, emerge dall’aggregato circostante. Acquistato di recente dal Comune di Sinagra dai proprietari, eredi del Barone Carmelo Salleo di Sanfilippo (nato nel 1892 e morto nel 1963), artista di rilievo internazionale., restaurato dovrà divenire sede di un museo, con indirizzo etnografico, oltre che architettonico-artistico. Il progetto è orientato a documentare le attività di conduzione di una azienda centrata sulle coltivazioni della regione e la vita di una famiglia gentilizia dei Nebrodi dal XVII AL XX secolo; una parte del museo sarà dedicata agli archivi della famiglia; inoltre saranno esposti oltre 40 dipinti del Barone Carmelo Salleo. Nel piccolo giardino alcune palme.
Età: origine seicentesca, con rimaneggiamenti dei secoli XVIII e XIX.
Casa di Diego e Beniamino Joppolo
UNA CASA MUSEO PER IL GENIO CONTROCORRENTE
La presenza degli Joppolo a Sinagra è sempre stata, peraltro, abbastanza costante: nella casa a Santa Maria Xilona, Beniamino era solito trascorrere l’estate con i suoi familiari, per le vacanze, nel silenzio e nella bellezza lussureggiante della splendida località nebrodense.
Signorilità del tempo e fascino dei luoghi, che, in zona, promettevano ospitalità adeguata anche ad un’altra famiglia “letteraria”: i Piccolo di Calanovella, imparentata con i Tomasi di Lampedusa.
In paese vi è ancora qualcuno che ricorda Beniamino all’ombra del grande pino di Santa Maria Xilona, mentre elabora i suoi scritti.
Sinagra, che di recente ha instaurato un rinnovato rapporto con la sua Storia, cercando nel profondo le sue radici e le sue eccellenze ancora sopravviventi, potrebbe rendere omaggio a questo letterato “controcorrente”, drammaturgo, scrittore, pittore, che ha soggiornato a lungo in paese. Occasione ottima potrebbe essere quella di trasformare la casa avita della piazza in un Museo a lui intestato, dando così definitiva visibilità ad un intellettuale che nell’autonomia del suo pensiero seppe costruire un proprio stile, riconoscibile nei temi spesso diretti e violenti e nello stile espressionista e anticonformista.
Sarebbe un giusto tributo per un uomo di cultura che, purtroppo, è ancora lontano dal grande pubblico.
Prof.ssa Annamaria Amitrano
Palazzo Salleo Ferdinando in C.da Baronia
Villa Baronia, Maria Giglia ricorda …..
Lungo la strada comunale Baronia – Santo Pietro prima di fermarsi alla sede della locale Pro Loco a sinistra si incontra un bivio – strada privata, che conduceva alla Villa Baronia di proprietà del Barone Salleo. Oggi la parte bassa della proprietà è stata venduta e si trovano delle case di abitazione , continuando si può ammirare una bellissima fontana con vasca sotto un grande albero di quercia. In passato questo luogo ameno rappresentava un punto d’incontro dei coloni che abitavano in C.da Baronia.
La fontana oggi è stata restaurata dal nuovo proprietario Cardaci Filippo.
Ritornando indietro si imbocca la strada sterrata che conduce all’aria i Marcu , così chiamata perché nel mese di luglio si effettuava la trebbiatura.
Oggi invece è tradizione che le scolaresche trascorrano la Pasqua dello studente in questo luogo d’incanto. I ragazzi con lo zaino della colazione a spalla vanno verso la Baronia. Arrivati all’aria i Marco accaldati ed euforici consumano la colazione a base di uova a forno (a cuddura) , seduti nell’erba , colorata dai fiori di luppolo e acitosella mangiano l’uovo della tradizione, dopo si divertono a giocare e rincorrersi.
Proprio all’aria di Marco negli anni cinquanta circa è stata costruita una edicola dedicata a San Leone.
Si narra che per la festa dell’otto maggio, gli uomini di Santu Lio vengono trascinati fino all’aria di Marcu qui si trovavano un gruppo di Sant’Angiolesi i quali volevano rubare la statua di San Leone per portarla nel loro paese, il santo si blocca in quel punto per molte ore quindi i sant’Angiolesi sono andati via senza la statua.
Continuando a camminare si incontra un grande casolare che era prima abitato dal mezzadro Francesco Spiccia.
Proseguendo nella curva sotto il salice piangente c’è una fontana con annesso abbeveratoio, che serviva per dissetare gli animali.
Proseguendo ancora a sinistra c’è una sorgiva a forma ovale, la porta incastonata nella pietra arenaria, sul lato destro sottostrada c’è una vasca a mezzaluna, la quale serviva per raccogliere l’acqua superflua, indispensabile per annaffiare le piante e l’orto.
Proseguendo vicino al palazzo c’è la casa di un altro mezzadro Francesco Bonfiglio, che ha abitato fino alla sua morte.
Subito dopo si può ammirare l’entrata della bellissima villa ancora oggi abitata nei mesi estivi dall’Ambasciatore Ferdinando Salleo e la sua famiglia e quindi gli alberi monumentali e il giardino all’italiana.
Una po’ più in alto della villa c’è la chiesetta della famiglia dedicata a San Sebastiano.
Un po’ più in alto c’era a casa du camperi Franciscu Giglia padre della sottoscritta
10.2.2014
Maria Giglia
Palazzo ex Salleo in C.da Pianomonaci oggi (Carmelo Agnello)
E SE PER UN ATTIMO FACESSIMO PACE CON LA NATURA? |
Ho avuto il grande piacere di poter “vivere” per qualche giorno l’antico Palazzo sito nella grande tenuta di proprietà del Barone Salleo, oggi del Prof. Agnello, in occasione delle riprese del film Volevo gli occhi blu scritto e diretto dal regista Francesco Lama.
Il palazzo si trova, immerso nella viva natura, su di una verde collina nell’affascinate cornice di Sinagra.
Una volta arrivato mi sono sentito immediatamente “avvolto” dal contesto nel quale mi trovavo poiché il posto sembrava davvero fuori dal tempo: l’agrumeto che circonda l’antico palazzo nobiliare richiamava pacificamente la mia attenzione; il senso di serenità e di quiete si spandeva tutto intorno.
Bellissime, quelle due fontane parevano sorvegliare l’antica casa signorile.
La tenuta si presentava con la vecchia residenza, la cui struttura mostrava ampiamente i segni del tempo, un grande palmento al pian terreno e le stalle nella parte adiacente al palazzo.
Gli interni, che hanno fortemente contribuito a rendere molto vere le scene del film, trasferivano quello stesso fascino e quella stessa sensazione di pace che si avvertiva negli spazi esterni.
Posto in cui riconciliarsi con la natura e con se stessi, dall’inestimabile valore architettonico, naturalistico ed ambientale, l’antica tenuta Salleo credo fermamente sia uno straordinario pezzo di storia, da annoverare tra i valori immensi della nostra amata terra.
Mauro Failla
Attore
Palazzo Ioppolo Giorgio in C.da Santa Maria Xilona
Un percorso alternativo alla scoperta di tesori nascosti
Esempio di rapporto tra edilizia patrizia e aspetti produttivi del territorio è il Palazzo Joppolo, oggi di proprietà dell’ultimo erede, Giorgio, cugino di Beniamino Joppolo.
Si tratta di un imponente palazzo ‘extraurbano’, posto in prossimità della chiesa di ‘campagna’ di San Leone, al centro di una grande tenuta agricola, dove trovavano lavoro tanti contadini sinagresi, che operavano sotto la supervisione dei ‘camperi’.
Per giungere al Palazzo, che presenta gli insulti del tempo, partendo dall’ ex contrada Gorghi si percorre un’antica trazzera regia ancora oggi in pietra, che portava ad Ucria e Floresta. La passeggiata inizia dalla Pietra di San Leone, continua in un giardino di agrumi, attraversa un ruscello, risale verso un noccioleto, fino a giungere a Palazzo Ioppolo. Lungo la strada, si possono ammirare alberi monumentali di agrumi e la ricca vegetazione tipica del territorio, costituita da uliveti, noccioleti, alberi da frutto. Il mormorío del ruscello, ancora oggi attivo, contribuisce a creare un’atmosfera paesaggistica da idillio.
Il Palazzo, utilizzato dalla famiglia Joppolo come residenza estiva, era costituito da eleganti ambienti padronali, collocati al piano superiore, e da magazzini con aperture ad arcate al piano terreno, utilizzati come deposito di attrezzi e prodotti agricoli. Circondato da un giardino di tipo ornamentale, in cui svetta ancora oggi una palma, il Palazzo era collocato nella parte alta di una grande tenuta di aranceti a terrazze, che degradava lentamente fino a giungere alla fiumara. Vi si accedeva da un’entrata di servizio, adiacente alla fontana, e da un’entrata principale, che attraverso uno scalone immetteva al piano superiore, nel salone e nelle camere abitate dalla famiglia. Il Palazzo era stato costruito con dovizia di mezzi. Le pareti delle stanze erano adorne di stucchi e decorazioni, dai soffitti pendevano lampadari di porcellana a petrolio, poi sostituiti dall’illuminazione elettrica. Importanti mobili antichi, tendaggi, argenteria, vasellame di qualità, casse di tessuti di lino con ricami d’altri tempi costituivano l’arredamento, andato totalmente perduto in seguito a un furto.
Accanto al Palazzo, si trovavano anche altre emergenze architettoniche: una casa colonica retrostante, una fontana fornita di un imponente gettito d’acqua, usata anche come lavatoio, una grande vasca che serviva per annaffiare il podere, una torre colombaia quadrangolare ben conservata, un palmento scolpito nella pietra per la macina delle ulive e un nocciolaio, adibito all’asciugatura delle nocciole.
Prof.ssa Paola Colace Radici
Ordinario di Filologia Classica all’Università di Messina
Palazzo Manganaro in C.da Cicala
Ex Palazzo Salleo in C.da Zacchini
Palazzo Beniamino e Diego Joppolo in c. da S.Maria Xilona
Palazzo Ioppolo Achille in c.da Zigale
Castello Piccolo di Calanovella in C,da Solicchiata, oggi abitato dalla nipote di Lucio Baronessa Mariel.
SINAGRA: SOTTILE FILO CHE LEGA IL RICORDO DEI GRANDI
Se non siamo figure/di specchio che un soffio conduce/senza spessore ne suono/pure il mondo dintorno/non è fermo ma scorrente parete dipinta,/ingannevole gioco,/equivoco d’ombre e barbagli, di forme che chiamano/ e negano un senso…..(Lucio Piccolo di Calanovella).
Questo meraviglioso, incontaminato territorio, collocato a cerniera fra i Nebrodi e il Tirreno, è davvero un dono di Dio, un regalo che non rimane confinato, in un cantuccio ma, al contrario, come vero e proprio talento, produce effetti. Straordinari effetti.
Uno scampolo di terra, con le dita quasi a toccare le cime che guardano in lontananza, a sfidarlo il Mongibello e le ginocchia a godersi quel mare azzurro, buon ritiro e rifugio per Autori che hanno scritto pagine indelebili nella storia del secolo appena trascorso.
Proprio i Nebrodi hanno accolto e coccolato Lucio Piccolo e la sua Famiglia e non è un caso che, ancora una volta, la Pro Loco di Sinagra, agisca come una sorta di apripista in un percorso di ricordo e rivalutazione storica dei luoghi della memoria delle cose e degli uomini.
Ripercorrere l’esistenza, tra arte e poesia, dei Piccolo di Calanovella, esistenza caratterizzata dalla costante ricerca, da un inesausto rinsaldare le proprie radici, significa allora recuperare quello spirito di appartenenza che permeò la vita degli esponenti di questa nobile Famiglia che seppe coniugare perfettamente la sicilitudine con la visione europea della vita e della cultura.
Sintesi perfetta, sempre pronta ad incarnare un modello estremamente positivo per le nostre giovani generazioni, chiamate ad alimentare il ricordo, anche grazie alla raccolta meticolosa e intelligente delle testimonianze. I luoghi che hanno visto protagonisti i Piccolo di Calanovella, allora, come un percorso ideale, fisico e virtuale nel segno dei giochi e delle ombre, Ma autenticamente reale.
Marcello Proietto di Silvestro
(Giornalista)
Palazzo ex Salleo in c.da Zigale
Chiesa di San Leone in C.da Santa Maria Xilona
Passeggiando tra le vie del paese si possono ammirare dei monumenti:
Chiesa Madre S. Giovanni Battista in C.da Martini
Chiesa di Sant'Antonio in C.da Martini
Chiesa dell'Immacolata in c.da Martini
Chiesa in C.da Baronia di proprietà della Famiglia Tranchita.
Chiesa Santa Maria Xilona
Chiesa Madonna del Rosario in c.da Limari
Chiesa in C.da Cicala di proprietà della famiglia Manganaro
Chiesa in C.da Baronia di proprietà della Famiglia Salleo
Chiesa Sant'Anna in C.da S.Anna
Edicola in c.da Baromia Proprietario Salleo Ferdinando
Edicola in C.da Baronia
Edicola in Cda Totoniglio
Monumento ai Caduti
Un’imponente opera marmorea, realizzata dallo scultore Giovanni Torres, e raffigurante due colombe che svettano dai bracci di un vomere, simbolo della libertà e del lavoro. Sul basamento c’è scritto “La vita è il prezzo della libertà”, frase detta dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini.
Monumento ai Caduti
Monumento all'Emigrante
Realizzato dallo scultore Giuseppe Brancato e dedicato agli emigranti che da Sinagra si sono trasferiti altrove; fu inaugurato il 24 novembre del 2004. Raffigura da un lato una nave che solca il mare, carica di emigranti, e dall’altro l’onda del fiume Naso, che simboleggia le inondazioni legate alla storia locale.
Passeggiando......
Agli occhi del visitatore Sinagra si presenta come un centro urbano, con i suoi caratteristici vicoli medievali, che esaltano un’infinita e inestricabile trama di case, fondendosi in un intreccio di “viuzze” e scalini, circondato da autentici pezzi di storia.
I portali come cartoline in Arenaria a Sinagra
Percorrendo le vie del centro storico di Sinagra, sorprende la copiosa presenza di portali in pietra da taglio che ancora oggi contribuisce a rendere particolarmente significativo il decoro del tessuto urbano del paese.
La loro presenza testimonia quanto fosse fiorente l’attività degli scalpellini chiamati al servizio della committenza locale che con la loro abilità tecnica ed artistica hanno attivamente contribuito ad arricchire la scena del paesaggio urbano.
All’interno dell’abitato di Sinagra si possono contare circa 500 portali in pietra arenaria, la maggior parte risalenti al periodo compreso tra il XVII secolo e i primi decenni del XX secolo, quasi tutti classificabili secondo precise tipologie che delineano l’evoluzione della forma e il cambiamento del gusto.
Il tipo più diffuso che caratterizza l’edilizia abitativa minore è quello ad architrave retto, che raggruppa portali costituiti da quattro pezzi, con alcune varianti che mostrano due piccoli elementi inclusi tra l’architrave e i dritti.
Particolarmente frequente è l’uso di portali a tutto sesto e ad arco ribassato, caratterizzati da modanature posizionate sull’imposta dell’arco e conci di chiave arricchiti da decorazioni che spesso riportano l’emblema della famiglia di appartenenza. Poco diffusa risulta invece la tipologia dei portali ad arco a sesto acuto, con pochi esempi risalenti agli ultimi decenni del secolo XIX.
Sarebbe auspicabile la promozione di iniziative culturali per la valorizzazione dei cosiddetti beni culturali minori tra cui, in una logica di rete territoriale, far rientrare il “Recupero dei portali in pietra”.
Ciò potrebbe attrarre flussi turistici durante l’intero anno solare riducendo il divario esistente tra le aree interne e le zone costiere, tra le città d’arte e i borghi antichi, mantenendo viva la memoria storica del territorio, migliorando la qualità di vita dei residenti e rafforzando, anche per questa via, la coesione sociale. Leone Gianfranco Fogliani (Architetto)
Le finestrelle a cuore
Si narra che due secoli fa circa un giovane di Sinagra, Lio, si innamorava di Nunziatina, figlia del suo datore di lavoro don Tano, il più bravo scappellino di Sinagra.
Lio, proveniente da una famiglia umile, era un ragazzo di bella presenza che sapeva leggere e scrivere. A causa delle precarie condizione economiche, gli innamorati non erano liberi di manifestare il loro amore senza il consenso dei genitori. Ma, nonostante questo, si guardavano di nascosto, timorosi di essere scoperti.
Don Tano, ammalatosi, viene sostituito nel laboratorio da Lio, che diventa ogni giorno più bravo e responsabile.
Passa il tempo e Lio decide di recarsi dal padre di Nunziatina a chiedere la mano dell’amata, ma don Tano non acconsente.
Dunque Lio, per stupire don Tano e dimostrare il suo amore per Nunziativa, grazie alla sua arte, trasforma una pietra in un bellissimo cuore. A questo punto chiede al suo, precedente datore di lavoro il permesso di inserire nel muro della casa il cuore, al fine di guardare Nunziatina attraverso la finestra, fino al matrimonio.
Questo cuore divenne simbolo dell’amore molti giovani, seguendo l’esempio di Lio e Nunziatina, hanno abbellito la loro abitazione con “la finestra dell’amore”.
Torrente Naso
Chiare, fresche et dolci acque…
Per giungere alla cittadina di Sinagra dal mare, superato il ponte sulla foce della fiumara ormai invasa da vegetazione arbustiva, il greto ciottoloso e per lo più arido fa da guida naturale nel fondovalle stretto, preannunciando severe disarmonie paesaggistiche mentre immette nella vallata dai pendii verdeggianti. Oltrepassati gli incombenti piloni del ponte autostradale, tributo all’era motorizzata in stridente contrasto paesaggistico, si costeggia il letto della fiumara seghettato da cadenzate briglie cementizie e rigidi argini a difesa del desertico nastro asfaltato che, in sleale concorrenza di velocità, costeggia l’alveo. Quando i fianchi della valle si aprono lussureggianti e il fiume prende il nome dalla cittadina, si possono vedere in primavera capre e bovini dissetarsi al pascolo e sentire uno sciabordio felice fra i ciottoli levigati sotto il velo tenue dell’acqua, confluente dai due rami provenienti dalle lontane Rocche del Crasto e dal Monte Gianni. Lo sguardo coglie allora l’insediamento abitativo sinagrese stendersi aperto al sole.
Adagiato sulla opposta riva scoscesa si giunge a Sinagra attraversando un altro ponte sul fiume; il grecista Sardoinfirri ricostruì un etimo memore della navigabilità delle fiumare nebroidee nell’antichità: syn-agorà, città con-mercato.
La tela di Penelope: per le fiumare messinesi sono stati elaborati progetti di recupero dalla dissennata cementificazione, questo significa dunque una presa d’atto del disastro avvenuto e un riconoscimento delle battaglie ambientaliste sui Nebrodi; là dove più rilevante è stato il danno arrecato dalle opere di pesante sistemazione idraulica nel trentennio scorso, saranno avviati interventi di riqualificazione ambientale orientati al restauro dell’ecosistema precedente. Oggi i sinagresi dedicano gran cura al dragaggio degli affluenti e al rispetto dei mille rivoli che, nutrendo il terreno, ne sgravano l’eccesso di umidità ed evitano smottamenti e frane, in un prezioso equilibrio fra attività umana e necessità della vita naturale.
Cosa è stato perso: una vegetazione ripariale di straordinaria bellezza, composta di canne, robinie, agnocasti, frassini, noccioli, pioppi secolari, oleandri, splendidi esemplari di salice bianco e salicone. Come era: fino a tutti gli anni ’70 nella fiumara le anguille solevano risalire il corso fino al Sinagra per deporvi le uova, tanto che nella tradizione della cittadina c’era ad agosto la Sagra delle anguille (pescate col trucco della linfa di fico). Dopo l’imbrigliamento si sono formate delle vere e proprie vasche di acqua stagnante, che mentre hanno impedito alle anguille la risalita, hanno instaurato un habitat favorevole alla coltura delle zanzare e all’insalubre biosistema che abita la acque ferme.
Sul lungo fiume attrezzato, il confine ai piedi del borgo è segnato da una articolata opera muraria, con piazzole e passeggiata lastricata, affacciata lungo l’acqua che gorgogliando brontolona favorisce ancora generosamente la flora rigogliosa dall’argine ai pendii collinari, regalando alla vita locale un microclima invidiabile e la ricchissima tavolozza di verdi cui certo hanno attinto gli artisti B. Joppolo e C. Salleo, nel tripudio vegetativo che si ripete ogni maggio.
Prof.ssa Franca Sinagra Brisca
Docente di lettere, ambientalista e giornalista
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