Il fiume di Sinagra
Antichi orti a Sinagra
“le ciarine”
Un vecchio adagio dice che la fame è il miglior condimento di tutte le vivande. Io desidero parlare di questo condimento e di come le donne di Sinagra si adoperavano per procurare le vivande. La guerra fu lunga e per tutta la sua durata l’unica certezza che c’era nelle case era la mancanza di cibo. Non sempre le derrate alimentari riuscivano a raggiungere il paese e quando arrivavano erano comunque insufficienti.
Si sperava nella fine della guerra e nel ritorno dei reduci per risollevare le sorti delle famiglie. Ma questi tornarono portando sudiciume, pidocchi, malaria e…una fame più lunga della nostra! Inoltre erano spaesati, svogliati, stanchi e depressi; lo Stato ce li restituì e subito dopo li dimenticò.
A Sinagra c’era poco lavoro e quindi circolavano pochi soldi sicchè lo spettro della fame continuava ad aggirarsi per il paese; non c’erano negozi di ortofrutta e comunque non vi sarebbero stati i soldi per accedervi. Le donne, che dopo lunghe e accurate pulizie, avevano reso presentabili i loro uomini, ridando loro dignità e fiducia, rivolsero le loro attenzioni alla fiumara quale unica risorsa in quella situazione precaria. Si potevano fare “le ciarine” (orti ricavati sulla pietraia della fiumara) e coltivare ogni sorta di ortaggi.
In alcuni punti la fiumara raggiungeva anche i trecento metri di larghezza, mentre il fiume scorreva buono, buono in un alveo di non più di dieci metri. Era terreno demaniale, l’amministrazione comunale sonnecchiava, ma conosceva i bisogni degli abitanti e la precarietà degli insediamenti, quindi lasciò fare. Allora un buon numero di sinagresi, diede l’assalto alla fiumara; le famiglie intere si trasferirono lì a lavorare da mattina a sera: i bambini e le donne raccoglievano le pietre e le portavano agli uomini che costruivano un muro a secco per delimitare l’orto che stava nascendo.
Noi ne abbiamo fatte due “ciarine” ed era una meraviglia entrarvi dentro: erano case a cielo aperto. Il muro ci isolava dagli sguardi indiscreti, ma dentro eravamo a contatto con le piantine. Nella “ciarina” più grande c’era un grosso masso piantato nel terreno e lo usavamo come mobile: ci sedevamo spora, ci poggiavamo cose.
La nostra casa distava circa un (1) km, ma io da sola vi andavo spesso, mi piaceva stare con le piantine e isolarmi da tutto. A poca distanza scorreva il fiume che ci forniva l’acqua per irrigare e la frescura d’estate. Le colture venivano alternate e avevamo ortaggi abbondanti tutto l’anno; avevano messo pure degli alberelli: ricordo un pesco e una vite, che in pochi anni ci diedero i primi frutti.
Durò circa nove anni questo nostro rapporto con le “ciarine”. Ma, ahimè, nel 1955 ci fu un inverno durissimo, arrivò la neve in paese e il fiume cominciò a ingrossarsi paurosamente; noi ogni giorno seguivamo da una certa distanza l’evolversi della piena e ogni giorno speravamo che risparmiasse le ciarine, finchè un pomeriggio dovemmo constatare che non c’era più niente. Ce ne siamo tornate a casa in silenzio, non osavamo guardarci in faccia, ci sentivamo tradite da quel fiume che per tanti anni era stato il “nume tutelare”.
Ormai gli uomini non c’erano più, erano andati a cercare lavoro lontano, la maggior parte in Australia e nessuno fece più le “ciarine” sulla fiumara. Dopo qualche tempo la mamma disse: “prenderemo un orto in affitto dalla signora Serafina”, lo abbiamo preso a poca distanza da quelli persi, ma più al sicuro dalla furia del fiume. Ma era un orto come tanti, non c’era il muro attorno e non era quello nato dalla nostra opera, dai nostri sforzi, dalla nostra tenacia. Però, a pensarci bene, il fiume si portò via le “ciarine”, male attitudini e sentimenti che avevano impegnato nel farle, ci sono rimaste e ci hanno sostenute sempre.
Questo ricordo struggente e un tardivo riconoscimento a quelle donne che tra guerra e dopoguerra sostennero un disagio economico e sociale durato dai dodici ai quindici anni.
In una realtà fortemente maschilista che non concedeva spazi alle donne, alla loro dignità, alla tenacia, al coraggio con cui affrontavano le ristrettezze e le tribolazione e offrivano sorrisi alle famiglie. Conoscevano l’arte della vita e seppero trasmetterla a quanti hanno saputo coglierne lo spirito.
Sinagra è un microcosmo, ma l’opera delle donne non ha confini di spazio e di tempo; laddove le guerre e le calamità naturali producono lacerazioni e sofferenze nella società, loro sono sempre pronte a ricucire e riassestare per spingere avanti la vita.
Maria Gridà
La biodiversità del territorio Nebroideo e di Sinagra studiata dall’Università di Palermo. Nuovo paradigma culturale ed economico
L’Università degli Studi di Palermo conduce da tempo indagini finalizzate alla conoscenza e alla valorizzazione della biodiversità vegetale dei Monti Nebrodi che hanno consentito importanti acquisizioni sulla flora e sulla vegetazione del territorio con particolare riferimento alle specie endemiche o rare, agli alberi monumentali, alle cultivar di piante da frutto dell’agricoltura tradizionale e alle antiche cultivar diverse specie orticole.
Insieme all’Ente Parco dei Nebrodi ha promosso la realizzazione della Banca vivente del germoplasma vegetale he ha sede nel comune di Ucria, ed ha lo scopo di perseverare la diversità delle specie vegetali endemiche e rare, assicurando la conservazione del patrimonio degli ecotipi di interesse agrario e forestale che caratterizzano gli agrosistemi e gli ecosistemi dei Nebrodi..
Particolare attenzione è riservata alla salvaguardia delle cultivar di specie tipiche dell’agricoltura locali e promuovere nel territorio uno sviluppo economico sostenibile.
Negli ultimi anni, la Banca del Germoplasma Vegetale ha recuperato, catalogato e propagato numerose specie officinali e varietà tipiche dell’agricoltura tradizionale (Azzeruolo, Albicocco, Castagno, Ciliegio, Gelso, Melo, Nespolo, Sorbo, Susino e, soprattutto, Nocciolo e Fico) , che rischiavano di scomparire sotto la spinta omologante della globalizzazione.
Per quanto concerne le specie erbacee, l’attenzione si è concentrata soprattutto sulle cultivar di fagiolo.
Ad oggi sono state reperite circa 65 antiche cultivar di fagiolo, alla cui selezione hanno contribuito, nel tempo, numerose generazioni di agricoltori e che possono essere considerate come segni tangibile, culturali e simbolici della biodiversità, impressi dall’attività agricola sul territorio rurale dei Nebrodi.
Tali cultivar differiscono per forma, dimensioni e colore dei fiori, dei baccelli e dei semi, tipo di accrescimento, resistenza alle avversità, proprietà organolettiche, ecc.
Ognuna di essa è individuata con il nome locale che può fare riferimento alla forma e alla doppia colorazione dei semi (Del Prete e Munnacheddu), al colore rosa antico o rosso vinaccia degli stessi (Santagasi), al baccello uncinato e al territorio o periodo di produzione (Crucchittu di Floresta, Crucchittu settembrinu), al caratteristico piccolo “occhio” che evidenzia il seme bianco nel punto di attacco al baccello (Ucchittu di Zappa), al colore ebano brillante del seme e al baccello senza “fili” di sutura (Niuru senza sfilazzi). Altre volte il nome locale scaturisce dalla somiglianza del seme con quello del pino da pinoli (Vasolu Pinuttaru), oppure con il baccello del carrubo (Carrubbara dal baccello rugoso), con la lumachella di una roccia sedimentaria organogena (Lumachedda chiara), con le piccole lumache terrestri ( Vasolubavaluciaru di tri voti), ecc.
Particolarmente curioso è il fagiolo “Favaru” per la somiglianza del baccello e del seme con quelli della fava; quest’ultimo è grosso, allungato e schiacciato, di colore interamente bianco o rosa violaceo, con screziature nerastre.
Questa attività di ricerca costituisce un piccolo ma importante tassello nella realizzazione di un nuovo paradigma culturale ed economico, sui temi della produzione di cibo e della qualità alimentare, di una economia di piccola scala capace di contribuire alla creazione di un’offerta territoriale di alta qualità e specificità.
Rosario Schicchi
Ordinario di Scienze Agrarie, Alimentari e Forestali
Università degli Studi di Palermo
Concorso "Orti a Sinagra"
La Pro Loco di Sinagra in collaborazione con L’Osasi della Natura di Franchina Gioacchino Sinagra e Il Giardino delle Meraviglia di Santa Croce di Camerina ha istituito la prima edizione del concorso “Orti a Sinagra”
Verranno premiate tre diverse categorie: “I giovani e l’ orto”;”Orto nella tradizione”; “I nonni e l’ orto”.
Conseguentemente ai nuovi scenari, economici e ambientali, si è assistito al progressivo ritorno di antichi usi e tradizioni tra i quali la consuetudine di coltivare un orticello ad uso familiare.
Un ritorno quindi all’ apprendimento delle tecniche agrarie che servivano alla coltivazione degli ortaggi, dove il tempo è scandito dal ritmo della natura.
L’ orto fai da te consente (fonte col diretti) risparmi sino a 300 euro e alle tradizionali piante aromatiche si sono affiancate: zucchine, cetrioli, pomodori, insalata e fragole con conseguente raccolta di prodotti sani e freschi, l’ emozione di veder crescere i propri alimenti, la riscoperta della oblatività della terra, l’ interesse nuovo per l’ agricoltura.
Nelle grandi città da Tokio a New York a Londra, la realtà degli orti sta diventando una pratica di massa.
IX EDIZIONE CONCORSO "ORTI A SINAGRA" ANNO 2019
Premiazione del concorso in dara 30.12.2019 – Palazzo Salleo.
VIII EDIZIONE CONCORSO "ORTI A SINAGRA" ANNO 2018
Premiazione concorso in data 23.12.2018 – Palazzo Salleo.
VII EDIZIONE CONCORSO "ORTI A SINAGRA" ANNO 2017
Premiazione concorso in data 27.12.2017 – Palazzo Salleo
VI EDIZIONE CONCORSO "ORTI A SINAGRA" ANNO 2016
Premiazione concorso in data 27.12.2016 – Palazzo Salleo
V EDIZIONE CONCORSO "ORTI A SINAGRA" ANNO 2015
Premiazione concorso in data 30.
Premiazione concorso in data 2.1.2016 – Palazzo Salleo
IV EDIZIONE CONCORSO"ORTI A SINAGRA" ANNO 2014
Premiazione concorso in data 30.12.2014 – Palazzo Salleo
II° EDIZIONE CONCORSO “ORTI A SINAGRA” 2012
PREMIAZIONE CONCORSO IN DATA 27.11.2012 – Palazzo Salleo
II° EDIZIONE CONCORSO “ORTI A SINAGRA” 2011
PREMIAZIONE CONCORSO giorno 27.11.2011 – Palazzo Salleo
I EDIZIONE CONCORSO "ORTI A SINAGRA" ANNO 2010
Premiazione concorso in data 4.12.2010 – Sala Consiliare
La giuria, composta dal Prof. Rosario Schicchi Ordinario di Botanica Sistematica Facoltà di Agraria Università degli Studi di Palermo, Alessandro Agnello studente della Facoltà di Agraria di Palermo e Mimmo Crisà’,appassionato di orti
I premiati di questa prima edizione sono stati:
per la categoria “I nonni e l’orto”:
1° premio a Coci Teresa/Orifici Salvatore
2° premio a Di Perna Tindara/Murabito Vincenzo
3° premio a Mola Angelo
Premio speciale a Coci Rosina/Reale Tindaro “per la conservazione della biodiversita’ orticola tradizionale “
Premio speciale a Coci Francesco “l’orto più strano”
Menzione speciale a Liberto Gaetano “orto senza terra”
Menzione a Mola Teresa “l’amore per la terra”
Menzione a Di Vincenzo Nicola/Radici Rosa “orto nella tradizione
Per la categoria “I giovani e l’orto”
1° premio a Starvaggi Francesco
2° premio a Giuffrè Teresa/Faranda
3° premio a Pultrone Francesco
due premi sono stati consegnati a due bambini Calamunci Giuliano e Murabito Andrea rispettivamente di otto e nove anni.
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